Lasciamo Arequipa alla mattina presto per le nostre ormai canoniche sei ore di viaggio verso la cittadina di Puno e il Lago Titicaca.
Il viaggio scorre lento e confortevole nei soliti bus di lusso che ormai abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare e il panorama che vediamo attraverso i finestrini è favoloso. Si sale tra montagne brulle e austere, punteggiate qua e là da cactus e arbusti bruciati dal sole, cime innevate e altipiani immensi dove pascolano gruppi di Lama, Alpaca e Vigogne.
Dai 2.500 metri di Arequipa arriviamo ai 3.800 della città di Puno, punto di partenza per le escursioni sul lago navigabile più alto al mondo. Per la prima volta avvertiamo qualche fastidio legato all’altitudine ed è strano perché ormai dovremmo esserci abituati; niente di che ma un leggero male di testa e un senso di pesantezza ci accompagna nelle nostre prime ore qui.
Puno è francamente bruttina; un agglomerato di case costruite l’una accanto o sopra all’altra in cui probabilmente il sopravvivere è molto più importante del vivere. Piacevole invece la piazza principale con la chiesa in stile coloniale e i palazzi istituzionali che la circondano.
Pasto frugale e poi a letto presto in vista della gita dell’indomani su uno dei laghi più famosi al mondo.
Partenza verso le sette del mattino con un taxi che, in cinque minuti, ci lascia al porto della cittadina dove forse una cinquantina di barche attendono, ormeggiate l’una all’altra, i numerosi turisti che come noi si accingono a visitare il lago.
Veniamo “caricati” su una piccola imbarcazione da circa 25/30 posti e si parte alla volta della prima tappa della nostra escursione; le isole flottanti della popolazione degli Uros.
Gli Uros sono un’etnia pre-Inca che, schiacciati sulla terraferma dai contrasti bellicosi di questi ultimi ed essendo una popolazione basicamente pacifica decisero di spostarsi sul lago dapprima vivendo si grandi barche costruite con la Totora, giunchi tipici della zona, e successivamente costruendo, con lo stesso materiale, delle isole galleggianti che ancora oggi sono la dimora di questi popolo.
Esistono circa ottanta isole galleggianti sul lago, alcune in territorio Peruviano ed altre in territorio Boliviano, e seppur ormai gli Uros mantengano continui contatti con la terra ferma, mantengono vive le loro tradizione e i loro modo di vivere semplice dettato dai ritmi della natura e da caccia, pesca e lavoro incessante per la manutenzione delle loro abitazioni.
Seppur molto “turistica” l’escursione si rivela interessante soprattutto perché si riesce ad apprendere un po’ di storia legata a questa popolazione che parla, tuttora, una lingua differente dalla popolazione sulla terraferma e cioè L’Aymara, terza lingua ufficiale del Perù dopo Spagnolo e Quechua.
Lasciamo gli Uros e ci dirigiamo verso la isola Taquile abitata da una comunità di origine Quechua di circa 3.500 individui che conservano gelosamente le loro tradizioni e i loro costumi.
Gli abitanti di questa isola fino al 1970 non possedevano barche a motore che consentissero loro di raggiungere la terraferma in maniera veloce e, quindi, i loro viaggi per coprire i circa quaranta chilometri di distanza da Puno duravano anche tre giorni limitando, di fatto, le interazioni con il resto del mondo.
Dopo tre ore di navigazione raggiungiamo l’isola che ci appare, dal lato dell’approdo, semi-deserta se pur l’intervento umani si vede nei numerosi terrazzamenti costruiti per poter coltivare questa terra scoscesa e rocciosa.
Ci inerpichiamo per una buona mezz’ora sul pendio ripido e, una volta giunti in cima, quello che ci appare davanti agli occhi è semplicemente spettacolare.
Il territorio cambia notevolmente, le terrazze coltivate si alternano a boschi di eucalipto tra le quali si scorgono case dai tetti rossi e dai muri in pietra e Adobe. L’orizzonte è l’immenso lago e le lontane coste boliviane sullo sfondo.
Mangiamo trota alla griglia accompagnata da riso bianco e passiamo le prime ore del pomeriggio a contemplare la bellezza del panorama nel silenzio rotto solo dalla presenza di qualche turista e dall’incedere lento della vita dei suoi abitanti.
Scendiamo verso il porto e di nuovo sulla barca che ci porterà ancora a Puno, con negli occhi i colori dell’isola e il blu intenso delle acque del lago che quasi si confonde con quello, altrettanto intenso, del cielo andino.
Arriviamo in hotel, doccia e poi cena. A cena provo finalmente il piatto nazionale peruviano; Serena non se la sente ma io ordino il famoso Cuy al forno. Cos’è il Cuy? Lascio a voi la risposta mostrandovi la foto di un piatto che si rivela un misto tra pollo e coniglio! Devo dire buono… E poi del resto anche la cucina è un modo per conoscere la cultura di un popolo!